SMART WORKING, BORED OUT E BISOGNI PROFESSIONALI - Erika Graci
Psicologa evolutiva e psicoterapeuta cognitivo comportamentale
Erika Graci, Psicoterapeuta, Roma, psicoterapia cognitivo comportamentale, psicologa infantile, terapia di coppia, panico, lutto
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SMART WORKING, BORED OUT E BISOGNI PROFESSIONALI

SMART WORKING, BORED OUT E BISOGNI PROFESSIONALI

Molti conoscono la piramide dei bisogni di Maslow, pochi conoscono il fenomeno del bored out (sindrome della noia) mentre ormai quasi tutti hanno sentito parlare di Smart Working, altrimenti detto “lavoro agile”.

Nella piramide di Maslow si trovano, alla sua base, tutti i bisogni con cui in maniera innata si nasce, universalmente: mangiare, bere, dormire, respirare. Questi sono i cosiddetti bisogni fisiologici, senza la soddisfazione dei quali non possono essere gratificate le necessità di ordine superiore, cioè i bisogni di sicurezza, che insieme a quelli fisiologici costituiscono la tassonomia dei bisogni primari. Sicurezza e protezione viaggiano di pari passo e sono imprescindibili per accedere al soddisfacimento dei bisogni di appartenenza, prima, e di stima, poi. Entrambe appartengono alla categoria dei bisogni sociali, ma ai primi afferiscono il desiderio di essere amati, avere una famiglia e sentirsi parte di un gruppo, mentre nei secondi rientrano la realizzazione, l’autostima, l’autocontrollo e le esigenze sessuali.
Al vertice della piramide, infine, si colloca i bisogni di realizzazione di sè, quali la spontaneità, moralità, creatività e assenza di giudizio.
La stessa piramide, con la stessa categorizzazione, può  essere applicata ai contesti lavorativi come segue:

Ma come si coniugano questi bisogni gerarchicamente organizzati rispetto allo Smart Working? Ebbene, alcuni professionisti hanno vissuto la frustrazione di essere sotto impiegati e le loro giornate sono trascorse tra caffè, chiacchiere con i colleghi, lettura di notizie, giochi online, bighellonando sui social e spalmando i tempi necessari per il raggiungimento di un obiettivo lavorativi per una durata superiore rispetto a quella realmente necessaria. Questi professionisti, a casa, molto spesso usano la strategia dell’evitamento per mascherare la propria scomoda condizione alle persone da cui desiderano ricevere stima e ammirazione. Dunque, raccontano di dinamiche lavorative complesse, stressanti, che lo mettono di malumore e lo tengono sotto pressione. In effetti è così, se non fosse che la responsabilità è del cosiddetto bored out (sindrome della noia), piuttosto che del sovraccarico mentale.

Per questi soggetti, lavorare da casa significa essere esposti all’osservazione del partner e di eventuali figli, gli stessi ai quali ha raccontato di essere un professionista impegnato in un lavoro gratificante (bisogno di auto- realizzazione), pieno di attività complesse da svolgere, che gli vengono assegnate per le sue capacità (bisogno di stima), in un contesto affiatato (bisogno di appartenenza) e con un contratto a lungo termine e con una buona retribuzione (bisogno di sicurezza).

E allora ecco che lo Smart Sworking può trasformarsi in un fenomeno di stress che rende particolarmente suscettibili alla richiesta di adattabilità al nuovo setting professionale e alle nuove condizioni di convivenza forzata. Fingere di essere indaffarati diventa un must have che perfettamente aderisce al modello di uno dei più famosi coach in voga, secondo il quale “l’affaccendato è lo sfigato del nuovo millennio” (cit. R. Re).

La lesson learned per questa tipologia di lavoratore ci dice quindi che cedere il fianco a mestieri depotenziati favorisce l’insorgenza di stress emotivo e istiga alla menzogna familiare, dal potere rischioso inestimabile.