PARENT TRAINING: l’alleato prezioso di mamma e papà - Erika Graci
Psicologa evolutiva e psicoterapeuta cognitivo comportamentale
Erika Graci, Psicoterapeuta, Roma, psicoterapia cognitivo comportamentale, psicologa infantile, terapia di coppia, panico, lutto
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PARENT TRAINING: l’alleato prezioso di mamma e papà

PARENT TRAINING: l’alleato prezioso di mamma e papà

PREMESSA

Quando ho studiato il Parent Training ho temuto si trattasse di una pratica volta ad appiattire le peculiarità individuali di ogni piccolo essere umano in difficoltà.

Facendo mio il metodo, però, ho compreso che si tratta esattamente dell’opposto, poiché svolgere il Parent Training significa aiutare a scoprire le caratteristiche del singolo e trovare il modo più opportuno per renderle adattabili all’ambiente in cui i bambini vivono.

In questo scritto userò unicamente l’espressione “il bambino” o “il figlio”, per indicare sia i maschietti che le femminucce, senza temere di correre in un incidente diplomatico sul genere, poiché il metodo ha validità su entrambe i sessi.

Infine, colgo qui l’occasione per caldeggiare la scelta di uno specialista che oltre a saper praticare il Parent Training abbia anche delle risorse professionisti volte a sostenere il carico emotivo e l’impegno motivazionale non indifferenti che gravano sui genitori. Nella mia pratica clinica, per esempio, uso il Posto al sicuro come momento defaticante per i genitori con i quali lavoro.

 

DEFINIZIONE

L’espressione “Parent Training” indica quel percorso formativo attraverso cui i genitori imparano ad analizzare le risposte comportamentali dei propri figli, al fine di cogliere gli stimoli che le provocano, adattare le proprie reazioni in maniera funzionale alle condotte target che intendono modificare e individuare i comportamenti meta con i quali si vuole sostituire quelli “incriminati”.

È un metodo di matrice cognitivo- comportamentale, poiché richiede l’operalizzazione di ogni azione sottoposta ad analisi e la sua contestualizzazione in termini di pensieri ed emozioni.

Ma cosa sono queste condotte target e cosa s’intende con il termine “operazionalizzare”?

Ebbene, se un bambino quando è arrabbiato lancia oggetti e urla contro un genitore, il comportamento target è il lancio di oggetti e l’urlo. Spetta ai genitori saper discriminare queste reazioni specifiche alla rabbia, tra tutti gli altri comportamenti che possono manifestarsi nello stesso tempo. Possiamo dire, quindi, che le condotte target sono tutti quei comportamenti disfunzionali che richiedono come obiettivo la formulazione di condotte funzionali da acquisire (comportamenti meta), in sostituzione di quelli considerati “sbagliati” (comportamento target). Per poter parlare di comportamenti sbagliati, però, bisogna accedere ad aspetti culturali e sociali che contraddistinguono ogni famiglia. Quindi, possiamo assumere che ogni coppia genitoriale ha il suo repertorio di comportamenti accettabili e non accettabili, sulla base delle proprie credenze personali e dei propri valori individuali.

Privo di soggettività è invece l’operalizzazione, ovvero quel processo attraverso cui un’azione viene analizzata in maniera capillare, nel suo frammento più piccolo e semplice. Recuperiamo l’esempio del bambino che lancia oggetti e urla, dando per assodato che questa è la sua modalità consueta per manifestare il suo bisogno di mangiare. Aggiungiamo che questo bambino mentre lancia gli oggetti piange, violando quegli standard genitoriali attraverso cui la mamma e il papà vorrebbero il proprio figlio esprimesse il senso di fame, in maniera adeguata. Se chiedessimo a questi genitori come il proprio bambino chiede da mangiare, potremmo ricevere come risposta “Mio figlio piange e lancia oggetti”, lasciando intendere che entrambe le condotte reattive alla fame (il pianto e il lancio di oggetti) siano la manifestazione dello stesso bisogno, attribuendo a entrambe la stessa funzione di denuncia. In realtà, il pianto, solitamente, è l’espressione che più frequentemente i bambini usano per esprimere un disagio emotivo (in questo caso la frustrazione di avere fame), mentre il lancio di oggetti può essere il modo attraverso cui il bambino vuole richiamare l’attenzione del genitore. Operazionalizzando, dunque, si può creare il seguente schema:

STIMOLO PENSIERO EMOZIONE COMPORTAMENTO
Fame

Non ho la pappa

Frustrazione Piango
Fame Devo dirlo alla mamma/ papà Paura di non ricevere attenzione Lancio oggetti

(Schema n. 1)

 

Un’operalizzazione del genere ci dice che il bambino dell’esempio ha difficoltà a tollerare la frustrazione e paura di non ricevere l’attenzione di cui necessita per soddisfare il suo bisogno di avere del cibo. A questo punto, i genitori sono chiamati a compiere due operazioni: chiedersi dove il bambino ha imparato che quando si ha fame si deve avere subito cibo o con un tempo di latenza dalla percezione della sensazione fisiologica alla gratificazione del bisogno molto breve, e quando ha fatto esperienza di non trovare, una volta richiesta, l’attenzione desiderata da parte dei genitori.

Le risposte a questi quesiti, però, non bastano per formulare il comportamento meta, sostitutivo di quello disfunzionale, senza l’analisi della reazione che queste condotte suscitano nei genitori.  È infatti la risposta a cui i bambini sono abituati a creare quelle aspettative per cui “Se piango ottengo subito quello che voglio” o “Non posso aspettare o muoio di fame” e “Se non lancio oggetti nessuno mi ascolta” o “Devo ottenere subito l’attenzione che richiedo”. Queste potrebbero, dunque, essere alcune tipologie di credenze che inducono il bambino a scegliere le condotte emerse nell’esempio.

 

UTILITA’

Quando ricorrere al Parent Training?

La moda, si sa, detta le sue leggi in ogni campo e quindi anche quello della salute mentale non è immune dal suo fascino. Con l’evoluzione delle neuroscienze nell’ambito della psicologia, l’efficacia dell’approccio cognitivo- comportamentale ha trovato il favore della mappatura cerebrale che ha avvalorato l’applicazione delle teorie alla pratica. Nei Dipartimenti di psichiatria infantile, infatti, i bambini che arrivano su suggerimento del personale scolastico, su invio dei pediatri o per mera coscienza dei genitori, escono con una diagnosi che il più delle volte richiede espressamente un intervento di tipo cogni- comportamentale, sia sul bambino che sui genitori. A questi ultimi è richiesto tempestivamente di:

  1. Recepire la diagnosi;
  2. Accettarla e digerirla;
  3. Ignorare il proprio vissuto psicologico, emotivo e cognitivo;
  4. Riorganizzarsi come famiglia;
  5. Organizzarsi logisticamente ed economicamente alle novità che stanno per sopraggiungere;
  6. Entrare nel vortice della burocrazia della sanità pubblica;
  7. Assumere un linguaggio tecnico sconosciuto per comunicare con insegnanti, allenatori, educatori e formatori a qualunque titolo;
  8. Rispondere ai vecchi bisogni del proprio bambino con la consapevolezza che ha una ricevuto una diagnosi clinica;
  9. Inventarsi modi nuovi per prevenire il progredire dei disturbi e favorire il recupero delle abilità compromesse;
  10. Preservare le proprie risorse personali;
  11. Tollerare le opinioni gratuite degli altri genitori;
  12. Fingere spensieratezza e buon umore anche quando si è esausti e preoccupati.

Ecco, questo è il momento in cui il Parent Training diventa uno strumento indispensabile per:

  1. Favorire la comprensione delle dinamiche sottostanti la diagnosi;
  2. Supportare le reazioni emotive dei genitori, affinchè non influenzino negativamente l’efficacia delle nuove pratiche educative da adottare;
  3. Raccogliere i dubbi e le preoccupazioni dei genitori, in maniera propedeutica alle attività che verranno svolte dalla diade genitore- bambini;
  4. Attenuare il peso della responsabilità delle proprie condotte percepito dai genitori;
  5. Restringere il campo delle opzioni d’intervento;
  6. Ricevere la psico- educazione necessaria per poter monitorare i progressi dl figlio e trovare un linguaggio condiviso con il personale scolastico;
  7. Aiutare i bambini nel loro nuovo percorso di crescita;
  8. Offrire soluzioni genitoriali concrete e adeguate a ciascuna realtà familiare;
  9. Potenziare l’ottimizzazione delle risorse personali dei genitori.

Tutte queste funzioni del Parent Training diventano poi fattori di protezione per tutto il nucleo familiare, nei confronti delle richieste della società e delle considerazioni scomode di altri genitori.

 

METODO

Gli steps attraverso cui svolgere il training richiedono la supervisione di uno specialista in materia. Tuttavia, avere contezza di quelle che sono le attività che il Parent Training prevede può favorire l’alleanza terapeutica tra il professionista e la famiglia coinvolta.

Il lavoro iniziale consiste nella realizzazione di una serie di check list che descrivono il funzionamento del bambino rispetto a:

  • Reazioni comportamentali alla rabbia;
  • Reazioni comportamentali alla paura;
  • Reazioni comportamentali alla tristezza;
  • Reazioni comportamentali alla gioia;
  • Reazioni comportamentali alla sorpresa;
  • Reazioni comportamentali al disgusto;
  • Comportamenti target;
  • Comportamenti meta;
  • Rinforzi efficaci (quando, come e dove);
  • Rinforzi inefficaci (quando, come e dove);
  • Punizioni efficaci (quando, come e dove);
  • Punizioni inefficaci (quando, come e dove);
  • Reazioni genitoriali ai comportamenti target;
  • Reazioni genitoriali ai comportamenti meta.

 

Una volta terminata questa raccolta, si possono cominciare a cucire insieme i vari pezzi del puzzle e definire un piano di azione condiviso con la famiglia, in funzione delle caratteristiche del bambino.

Quello che si evince dal sistema che incrocia tutti i dati raccolti nei suddetti elenchi sono le pratiche educative da preservare e quelle da modificare, in termini di rinforzi e punizioni utilizzate, reazioni genitoriali più o meno controllate.

Le prime favoriscono l’utilizzo di risposte comportamentali da parte del bambino adeguate e congrue, mentre le seconde esattamente il contrario. Per entrambe le tipologie di pratiche educative, efficaci e inefficaci, bisogna poi interrogarsi sul come mai sortiscono un tipo di effetto piuttosto che un altro.

Facciamo un esempio sul bambino che ha una modalità di richiesta di cibo che contempla il pianto e il lancio degli oggetti. Dall’analisi degli episodi in cui il pianto e il lancio degli oggetti determinano la gratificazione del bisogno di ricevere cibo potrebbe emergere che i genitori hanno abituato il bambino a non esprimere verbalmente o con segnali comportamentali (per esempio, succhiare il dito) il senso di fame, perché hanno sempre anticipato il loro bisogno oppure hanno sempre offerto cibo al bambino al primo segnale di richiesta. Questo ci dice che il bambino non ha imparato a tollerare la frustrazione e a formulare la richiesta in maniera adeguata. Superficialmente, il lavoro del Parent Training potrebbe limitarsi a questo, ma cogliere la ragione per cui i genitori hanno favorito l’instaurazione di queste dinamiche comportamentali potrebbe rivelarsi utile per valutare il contributo del vissuto di mamma e papà, nonché trovare un attenuante alle spinte motivazioni genitoriali. Analogamente possiamo rilevare che il bambino riceve attenzione ogni volta che lancia un oggetto, sia per gioco che aggressivamente, determinando quell’apprendimento che lo porta a usare questa strategia intenzionalmente. Anche in questo caso possiamo chiederci come mai i genitori usano comportarsi così e verificare se ci sono state occasione di insegnamento formale dei modi attraverso cui il bambino può formulare richieste. Più nel dettaglio potremmo anche verificare se quando il bambino chiede qualcosa in maniera pertinente viene rinforzato o se il suo comportamento non sortisce l’effetto da lui sperato, in modo da compiere una distribuzione della responsabilità della condotta disfunzionale.

Una domanda che spesso viene posta ai genitori è: “Cosa fa (e cosa prova) quando suo figlio lancia oggetti?” e “E funziona?”. Immaginate una risposta. Poi si continua con “Si ricorda quando è riuscita a calmarlo come voleva?” e “Cosa ha fatto? (E cosa ha provato)”.

Questo è il metodo con cui si scopre che, per esempio, tutte le volte che il bambino è triste e la mamma lo abbraccia lui smette di piangere, mentre se riceve la stessa risposta quando è arrabbiato lui urla di più. Quando si arrabbia, infatti, se lasciato solo, smette in un lasso tempo ragionevole di urlare. Quindi, la mamma e il papà sono chiamati a leggere l’emozione che determina la condotta del figlio, al fine di selezionare tra le loro possibili reazioni comportamentali quella che favorisce l’attuazione da parte del figlio della condotta desiderata, oltre a fungere da contenimento emotivo. Quando questo accade, spesso si sente dire “Non ci avevo mai fatto caso che ogni volta che”.

 

CONCLUSIONI

Tutte le “scoperte” sul bambino e tutti i metodi individuati possono costituire una sorta di libretto di istruzioni sul funzionamento del proprio figlio. È opportuno che questo “bugiardino” venga condiviso con chi resta a lungo e con frequenza a contatto con il bambino, al fine di favorire la costruzione della relazione e delle condizioni necessarie per farlo stare bene.

Questo lavoro, nel passaggio tra una fase evolutiva e l’altra può perdere efficacia, dando il segnale che bisogna aggiornare il lavoro svolto alla luce di cambiamenti psico- fisiologici che lo sviluppo prevede. I genitori possono provare a fare questo lavoro in autonomia o chiedere aiuto allo specialista che già conosce il bambino, per facilitare lo svolgimento del processo di adattamento del vecchio “manuale” a uno più attuale.

Il Parent Training, dunque, offre un prezioso ausilio ai genitori per affrontare le difficoltà di gestione di quei bambini le cui esigenze particolari li rendono di difficile lettura da parte di chi non ne ha una conoscenza approfondita.